L’AUTOSTIMA – COSA E’ E CHE RUOLO HA NELLA NOSTRA VITA?
Scritto dalla Dott.ssa Jarmila Chylova
Finchè tu stesso non ti convinci di valere, non basterà un esercito di persone a convincerti di questo…
(Jarmila Chylova)
Ti senti mai sfiduciato e impotente? A volte devi fare uno sforzo su te stesso per far capire agli altri cosa veramente desideri? Qualche volta ti sembra che gli altri riescano sempre meglio di te in tutto? Ti senti mai come l’ultima ruota del carro? Sei spesso trascinato dagli altri perché non riesci a far valere i tuoi diritti?
O forse sei tu ad esercitare la pressione sugli altri per averla sempre vinta?
Si potrebbe dire che tutte queste sensazioni sono legate all’autostima. Essa influenza notevolmente la vita di ogni individuo e contribuisce ai successi e agli insuccessi, influenza le relazioni con gli altri. L’autostima è la consapevolezza dell’importanza che un individuo ha della propria persona, che gli consente di fare affidamento su se stesso e comportarsi con responsabilità nei confronti di se stesso e degli altri. In ogni caso l’autostima è condizionata dalle esperienze pregresse che abbiamo interiorizzato e dalle immagini di apprezzamento o svalutazione da parte degli altri.
Sana o distorta?
Quando l’autostima è sana, le persone sono in pace con se stesse e con gli altri. Si assumono la responsabilità delle proprie scelte e sono realiste e fiduciose nelle proprie possibilità. Agiscono rispettando gli altri e se stesse. Accettano le proprie emozioni come una componente fondamentale della vita e sono determinate a modificare quegli aspetti della realtà che possono essere modificati.
L’autostima distorta si può manifestare come bassa o come accentuata. La bassa autostima si manifesta nella discrepanza tra il Sé ideale e il Sé percepito. Il Sé ideale è rappresentato da ciò che si vorrebbe essere, dalle qualità, dalle capacità e dal carattere che si vorrebbero possedere. Invece il Sé percepito è dato dall’insieme di percezioni e conoscenze che abbiamo su noi stessi. Lo stato emotivo di sfiducia in se stessi è fonte di comportamenti apatici, demotivati, dipendenti, autocentrati, autoprotettivi, competitivi e aggressivi verso sé e gli altri. La mancanza di autostima produce un bisogno costante di appoggio esterno e di ricerca di conferme da parte degli altri.
Chi ha bassa autostima, sperimenta:
- Una scarsa fiducia in se stesso e nel mondo
- Una difficoltà di ascoltarsi e individuare obiettivi realistici e coerenti con le proprie aspirazioni
- La tendenza a dipendere dagli altri per ciò che riguarda il proprio valore come persona e come capacità
- Una ricerca continua del consenso degli altri
- Uno scarso spirito di iniziativa e una scarsa disponibilità a rischiare
- Una vulnerabilità ai disturbi d’ansia
Al contrario, nell’alta, accentuata autostima, le persone si comportano con eccessiva sicurezza, orgogliose e come conseguenza, incapaci di vedere i propri errori e gli eventuali comportamenti alternativi. In questo caso parliamo di autostima ipertrofica che nei casi estremi si manifesta attraverso:
- Presunzione
- Disprezzo per l’altro
- Senso di superiorità
Tutte caratteristiche del disturbo narcisistico di personalità.
Che tipo di influenza ha l’autostima sul nostro comportamento?
Con l’autostima distorta si verificano due possibili atteggiamenti: il primo, “rinunciatario – passivo”, l’atteggiamento esteriore è docile, remissivo, ma interiormente le persone rinunciatarie sono terribilmente arrabbiate con gli altri e con il mondo – passività rabbiosa. Il secondo atteggiamento è “competitivo – aggressivo”, che consiste nell’eccesso di sicurezza che sconfina con l’arroganza. Ha la funzione di dimostrare a se stessi a agli altri di essere validi, capaci, autorevoli, potenti, intelligenti, ma i sentimenti di insicurezza sono sempre a portata di mano.
Una particolarità dell’autostima sta nel fatto che essa rappresenta gli schemi interiorizzati riguardanti l’opinione di noi stessi, perciò proviene dal nostro interno. Nello stesso tempo, però gli stessi schemi hanno provenienza dall’esterno e cioè a cominciare dalle relazioni primarie con le persone significative della nostra vita. Secondo la teoria di Bowlby, noto studioso inglese, nei primi anni di vita il bambino sviluppa un’immagine di Sé, in base alla positiva o negativa relazione con le figure primarie. Fondamentale è evidenziare come esperienze interattive con adulti significativi nella prima infanzia e nell’adolescenza siano determinanti sulla formazione dell’identità e dell’autostima. Occorre tener presente che una carenza delle cure parentali procura una scarsa considerazione del proprio valore personale e un’incapacità di esprimere i propri sentimenti. Lo sviluppo di una sana autostima viene ostacolato quando relazioni genitoriali primarie non garantiscono la soddisfazione dei bisogni fondamentali.
La relazione con un caregiver affettivamente disponibile, consente al bambino di sviluppare un’immagine di Sé positiva e meritevole di cure e di costruire quelli che Bowlby chiama MOI (Modelli Operativi Interni). I bambini con modelli di attaccamento insicuro sono incapaci di regolare da soli i propri stati emotivi, sperimentando così un eccessivo livello di ansia, rabbia e desiderio di ricevere cure. Lo stile di attaccamento sicuro, invece, è generalmente connesso a un miglior benessere psicofisico. Molti dati sembrano confermare l’ipotesi che il maltrattamento danneggia le capacità riflessive del bambino e il suo senso del Sé e lo sviluppo della funzione riflessiva o mentalizzazione. Bowlby ipotizza la continuità dell’attaccamento oltre il periodo della sua formazione nella prima infanzia, grazie alla costruzione di modelli mentali complessi, sia delle figure affettive sia di se stesso. Queste rappresentazioni, hanno la funzione di indirizzare l’individuo nell’interpretazioni delle informazioni provenienti dall’esterno e di guidare le azioni nelle situazioni nuove. Esse sono rappresentazioni mnestiche che derivano dalla memoria episodica (memoria che immagazzina gli eventi, le esperienze personali) e dalla memoria semantica (memoria che si riferisce alle conoscenze generali, alle codifiche, alla simbologia) delle immagini che il bambino ha costruito dei genitori e di se stesso, e assumono un valore regolativo e predittivo per le future interazioni e modalità di percepire se e gli altri.
“Non pensare ai pensieri del bambino”, non comprendere il suo stato mentale, rende questo ultimo vulnerabile alla variabilità del comportamento dell’adulto, il quale non è capace di andare oltre il dato della realtà dell’esperienza e del comportamento del bambino, ciò causa una inibizione della funzione riflessiva o mentalizzazione nel bambino. Mentalizzare significa essere capaci di comprendere gli stati mentali ed emotivi propri e altrui e di prevedere, sulla base di tali inferenze, il proprio e altrui comportamento.
La relazione l’autostima – comportamento in un modello circolare
Possiamo immaginare l’autostima in un modello circolare che può creare un circolo vizioso, quando l’autostima è distorta; o virtuoso, quando l’autostima è sana. Le persone con una sana autostima si comportano con una certa sicurezza e equilibrio, rispettando se stessi e gli altri e sono capaci di riflettere sul proprio agito senza temere le critiche. Di conseguenza, gli altri rimandano loro rispetto e stima. Al contrario, le persone con l’autostima distorta si comportano con poco rispetto per se stesse o/e per gli altri, non riuscendo ad interpretare correttamente i comportamenti degli altri. Non riconoscendo la critica costruttiva dalla critica manipolativa, a volte attaccano gli altri per difendersi a prescindere. Come conseguenza non riescono ad ottenere da parte degli altri il rispetto e la stima che desiderano e questo li fa sentire ancora di più privi di valore. Ne consegue una vita di poco successo sul lavoro e le relazioni sono scarse e spesso conflittuali.
Prossimamente parlerò di come si può migliorare la propria autostima e vivere una vita più ricca ed avere relazioni più soddisfacenti.
Bibliografia:
- Allen, J.G., Fonagy, P., 2006, La mentalizzazione. Psicopatologia e trattamento, Mulino Bologna;
- Atkinson, R.L., Atkinson, R.C., Smith, E.E., Bem, D.J., Nolen-Hoeksema, S., 2003, Psychologie, Portal Praha;
- Boldorini, A.L., Spagnulo, P., 2009, Le chiavi dell’autostima, Ecomind Salerno;
- Crosera, S., 2003, L’autostima, De Vecchi Editore, Milano;
- Bowlby, J., 1989, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Cortina Raffaello, Milano.